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Formaggio vegan: la chimica della delusione

  • Immagine del redattore: Fabio Zaccaria
    Fabio Zaccaria
  • 14 nov 2023
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 24 gen 2024

Siamo sinceri, i formaggi vegani sono sempre una delusione. O meglio: diciamo che per quanto buoni siano, ricordano l’originale più o meno come le statuine segnatempo ricordano la tour Eiffel






Possiamo raccontarci che il fake-cheese non è male, che spalmato sul pane o fuso sulla pizza fa anche la sua porca figura, convincerci che, di volta in volta, ricorda il pecorino o il parmigiano. Ma siamo onesti: sono tutte balle. E chi dice il contrario ha una pessima memoria, un pessimo gusto o ha passato la sua vita non vegana a mangiare sottilette e formaggini.


“Da un punto di vista chimico-fisico il formaggio vegan, alla sua controparte di origine animale, non ci somiglia proprio per niente”

Forse, a questo punto, è necessario un inciso. Sono vegano da non so neppure più quanti anni. Adoravo il formaggio e ho provato praticamente tutte le alternative vegan esistenti in commercio.


Mai smettere di crederci


Allo stato dell’arte la distanza fra le proposte cruelty free e l’originale è tanto grande da rendere il paragone quasi offensivo, o comunque respingente. Non parlo naturalmente di sottilette o formaggi spalmabili; quelli sono, diciamo così, fuori categoria: irrilevanti a livello gastronomico tanto gli originali quanto le alternative vegan. Quelli di cui vorrei parlare sono i formaggi che hanno fatto la storia dell’arte casearia: dal parmigiano al camembert al gorgonzola (solo per citare le imitazioni più in voga), le cui versioni vegan sono, nella migliore delle ipotesi, “curiose”, ma il più delle volte, semplicemente disastrose. Tutto questo non vuole dire che dobbiamo rinunciare a provare ogni nuovo prodotto che si affaccia sul mercato, anzi. Se mai, è per dire che, consapevoli di quanto sia lunga la strada da percorrere, se davvero amavamo il formaggio, forse questi primi, timidi esperimenti tanto vale la pena di farli mangiare a chi già va matto per le sottilette, i baby-belle e i formaggini spalmabili. Noi intanto incrociamo le dita e speriamo che la ricerca proceda a passo spedito.


Chimica organica e Camembert


Ma torniamo a bomba e vediamo di capire qual è la differenza fra i formaggi veri e quelli fake. Tutto risiede nella particolare struttura delle molecole di caseina. Il formaggio, come tutti sappiamo, viene fatto a partire dal latte che, in estrema sintesi, altro non è che un’emulsione di grassi e proteine in soluzione acquosa; perché diventi solido è necessario provocare una concentrazione delle proteine e una perdita di acqua. Per farlo i casari aggiungono dei particolari batteri che si nutrono di lattosio (l’unico zucchero presente nel latte) e rilasciano, come prodotto di scarto, l’acido lattico che, a sua volta, agendo come catalizzatore sull’aggregazione delle proteine della caseina fa sì che il latte cagli: diventi cioè una massa omogenea e gelatinosa con una consistenza molto simile alla panna cotta. Questo avviene perché all’aumentare dell’acidità le molecole di caseina cominciano a aggregarsi tra di loro formando le micelle: reti di forma approssimativamente sferica che racchiudono al proprio interno il siero e, ancora più all’interno, le molecole di grasso. Sono proprio questi macro-aggregati che conferiscono alla cagliata il suo aspetto liscio e compatto.


“Calore, concentrazione di sali di calcio, acidità della soluzione e rapidità con cui cambia la temperatura sono solo i principali fattori che influenzano il comportamento della caseina”

A questo punto però, per produrre il formaggio è necessario rompere la cagliata: cioè spezzare i legami che tengono unite le micelle, permettendo al siero di uscire e alle molecole di caseina di riaggregarsi in forme diverse. Ed è qui che la cosa si complica. I legami che tengono unite fra le di loro le caseine, infatti, sono molto sensibili a un numero considerevole di fattori: calore, concentrazione di sali di calcio, acidità della soluzione e rapidità con cui cambia la temperatura sono solo i principali. Per esempio, se l’acidità è molto alta, come nella produzione della Feta, le caseine formeranno legami forti e poco sensibili alla temperatura (la feta, infatti, non fonde). Se l’acidità è invece bassa, come nella produzione dei formaggi a pasta molle, i legami saranno deboli ed estremamente sensibili al calore (pensate alla scioglievolezza del Brie o del Taleggio anche a temperatura ambiente). Un fenomeno particolare avviene invece a metà strada, quando il livello di acidità è tale da consentire alle caseine di stringere legami molto forti, ma anche molto sensibili al calore (cosa che avviene per esempio con la mozzarella). Il tempo in cui avvengono i processi di acidificazione della soluzione è altrettanto fondamentale: più è rapido, meno il formaggio sarà elastico e viceversa (pensate alla differenza tra fontina e parmigiano). La quantità di calcio presente nella soluzione influenza invece la capacità delle caseine di ricreare continuamente nuovi legami al rompersi dei precedenti: ovvero fa sì che il formaggio, una volta riscaldato, fili oppure no.

Fenomeni questi, per tornare alla premessa dell’articolo, che dipendono tutti dalla particolare struttura chimica della caseina e che non c’è modo di replicare nei formaggi vegani.


All'inizio, pare funzionare tutto.


Le proteine vegetali che costituiscono la base dei fake cheese, siano esse derivate da soia, canapa, frutta secca o piselli (solo per citare quelle maggiormente impiegate) hanno struttura e comportamenti completamente diversi rispetto alla caseina. I procedimenti iniziali, tutto sommato, sono simili: si parte da un latte vegetale (un’emulsione di grassi, proteine e acqua, esattamente come i latti di origine animale, ai quali però sono spesso aggiunti amido e emulsionanti per rendere più stabile la soluzione), si fanno cagliare grazie all’impiego di batteri o acidi, si separano le proteine coagulate e si drena il siero, esattamente come per la controparte animale. A questo punto, però, la differenza sostanziale delle proteine vegetali fa sì che nulla di quanto si è visto accadere con la caseina possa essere replicato.


“Se invece che alla mozzarella, assomigliano alla pannacotta, la colpa è tutta della diversa struttura molecolare delle proteine”

Quello che si ottiene, dovendo fare un paragone, è molto più simile a una crema molto densa (tipo la besciamella) o a una gelatina (la pannacotta) e si basa proprio sugli stessi principi chimici che coinvolgono, nel primo caso, i processi di idratazione dell’amido e nel secondo del collagene. Da qui la consistenza di tutti i formaggi vegetali che, almeno a temperatura ambiente può richiamare con discreto successo quella tipica dei formaggi spalmabili (tipo robiola), quella dei formaggi a pasta dura o semidura (grana e fontina), ma mai in nessun modo quella dei formaggi a pasta filata (mozzarelle e provole in genere); e che all’aumentare del calore mostra in modo evidentissimo la distanza dall’originale: i fake cheese, quando si sciolgono, si trasformano in soluzioni colloidali che richiamano più una salsa che non un formaggio fuso, oppure restano così come sono anche una volta cotti (come il tofu, appunto o i sostituti del parmigiano).


La soluzione è nel bio-hacking


Nel tentativo di ovviare a questo problema, l’industria alimentare sta quindi cercando di battere l’unica strada che al momento sembra garantire prospettive credibili: ricreare la caseina in laboratorio. Il processo impiegato è quello del bio-hacking, ovvero l’uso di lieviti geneticamente modificati per produrre, attraverso processi fermentativi controllati, molecole di caseina cruelty-free. Il prodotto finito, a questo punto, non sarebbe solo “simile” al formaggio tradizionale, ma ne sarebbe una copia identica fin nella sua struttura molecolare. In questa direzione si muovono Better Dairy, a Londra, Perfect Day, a Berkley, l’olandese Fooditive e la californiana Real vegan cheese solo per citarne alcune.


“Ricreare la caseina in laboratorio garantirebbe formaggi identici agli originali, ma completamente cruelty-free e con un bassissimo impatto ambientale ”

A giustificare la scelta sono soprattutto i numeri. La domanda di alternative vegan ai prodotti caseari vale oggi circa 25 miliardi di dollari, è in continuo aumento e mostra trend di crescita che variano dal 10 al 20 per cento annuo in Europa, Asia e Nord America (con punte che durante la pandemia da Sars-CoV-2 hanno toccato anche il 30%); i costi ambientali sarebbero infinitamente inferiori (la quantità di acqua richiesta per produrre un chilo di formaggio partendo da latte di origine animale è fino a 500 volte superiore a quello necessario per produrre la controparte vegan) e la produzione di caseina da processi fermentativi non comporta il rilascio in atmosfera di metano e gas serra. I tempi perché prodotti caseari di questo tipo si possano trovare fra gli scaffali dei supermercati potrebbero essere estremamente brevi. Nel frattempo stanno destando scalpore i prodotti di Climax, start-up che ha già lanciato un formaggio erborinato, un camembert e una feta ottenuti esclusivamente a partire da proteine vegetali che promettono (dice l’azienda) di essere indistinguibili dagli originali.

 
 
 

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